La vita com’è
A volte sento che in una foto c’è di più. Non è solo perché mi piace particolarmente. C’è di più. E me me accorgo perché rimango lì a guardarla – e a riguardarla – senza riuscire ad afferrarla per intero.
Credo succeda così quando lo scatto è riuscito a registrare dell’altro: qualcosa di non lineare, che si trova su un altro piano. Per leggerlo non è sufficiente un approccio realistico, non ci si arriva con l’emozione, tantomeno con la razionalità.
Il senso giusto con cui provare a leggerlo è quello dell’immaginazione.
Così ho fatto per questa foto.
È bastato chiudere gli occhi e fare un respiro più profondo per finire sotto quell’albero.
Ho immaginato di fare cinque passi e arrivare all’ingresso della casa. C’erano due gradini sull’uscio, sbrecciati. Ho visto una porta vecchia, di quelle che si sono riempite della vita di tutti coloro he l’anno aperta nel tempo.
Ho imaginato di aprirla ed entrare. L’ho dovuto fare più volte perché funzionasse ed avere un’immagine dell’interno della casa.
C’erano delle scale di legno: le ho salite contando i gradini.
Nella stanza di sopra c’era un letto.
Sotto le lenzuola ho trovato un abbraccio. Nudo e pieno di vita. Caldo.
Ho sentito le punte di un seno, il tondo morbido dei glutei.
La finestra della camera che si spalanca non l’ho immaginata io. È avvenuta da sola. Mi sono ritrovato davanti a guardare fuori: sentivo il profumo del bosco, vedevo un prato di mille minuscoli soli dorati riflessi sulle gocce di rugiada.
Le sensazioni che provavo erano la registrazione “nascosta” che cercavo di leggere.
Non le immagini: se lo rifacessi quelle cambierebbero.
Le sensazioni no.
La più bella era la solita. La fuggevole emozione di sentire la vita com’è.
Gianluca Sgreva